“Consorzio Italia del Vino e Istituto Grandi Marchi uniscono le forze per provare a chiudere il gap enorme che si è scavato tra italiani e francesi nella presenza nel colosso asiatico. Sul settore pesa l’incognita dei dazi, sul piatto investimenti per 5 milioni. Non solo il caffè italiano prova a fare fronte comune per resistere all’avanzata commerciale dei colossi esteri. Anche un altro prodotto tipico del mercato e dell’export Made in Italy, il vino, cerca di unire le forze per colmare un gap scavato – per esempio nei confronti dei diretti concorrenti francesi – negli ultimi anni: la presenza in Cina. E’ stato infatti ufficializzato un accordo anticipato qualche settimana fa, quando sul settore si è acceso il faro legato alla guerra commerciale dei dazi tra Pechino e Bruxelles, che vede in prima fila il Consorzio Italia del Vino e l’Istituto Grandi Marchi. Nel progetto, che coinvolge anche il ministero delle Politiche agricole e forestali, rientrano quindi alfieri del vino italiano quali il Gruppo Italiano Vini, Ca’ del Bosco, Ferrari, Gancia, Marchesi di Barolo, Zonin, Gaja, Mastrobernardino, Donnafugata e molti altri. Uno spaccato di altissimo livello delle cantine italiane: sono 32 quelle rappresentate, per un fatturato di 1,4 miliardi di euro e una quota sull’export nazionale che sfiora il 20% (750 milioni in valore). Come hanno spiegato i presidenti dei due gruppi, Piero Antinori ed Ettore Nicoletto, la presenza italiana nel mercato dalle più alte potenzialità al mondo versa in condizioni “non più sostenibili: il rischio concreto è di venire relegati in posizioni ancora meno influenti”. Per dare un’idea, la quota di mercato del vino nazionale si è ridotta in Cina dall’8% del 2006, al 6% fatto registrare nel 2012. L’Italia ha venduto nel principale mercato mondiale per abitanti e per potenzialità, l’anno scorso, appena 75 milioni di euro fra vini sfusi e imbottigliati contro i 612 collocati dalla Francia, i 177 dall’Australia, i 114 dal Cile e gli 87 dalla Spagna. Il progetto non prevede supporto commerciale ai singoli marchi, cosa che è stata fatta “in via privata” dagli imprenditori. Si cerca piuttosto di colmare quell’assenza di “rete” per la quale gli addetti ai lavori hanno spesso accusato la mancanza di una regia nazionale, molto forte invece Oltralpe. Si parte dalla formazione del personale, con un breviario in italiano e mandarino per coinvolgere e preparare la filiera locale, a corsi per abbinare beveraggio e cibo della cucina tricolore. Il fulcro sarà online: una piattaforma web, sempre in mandarino, che coinvolga blogger, giornalisti e chef dell’ex Celeste Impero. L’investimento iniziale sarà di 4,7 milioni di euro in tre anni, ma l’impegno degli imprenditori – qualora arrivi l’effettivo supporto del ministero – è di ampliare le risorse sul tavolo”. (La Repubblica del 10 luglio 2013)