“A Genesis manca solo la parola: il prototipo ha anche le antenne, sembra il cugino di Sphero Drone, il robot di Guerre Stellari, ma in realtà è un vinificatore unico al mondo, un capolavoro dell’ingegneria e dell’elettronica applicata al vino, partorito da quel genio del grappolo che è Donato Lanati, premio Oscar come miglior enologo nel 2015. Nella sua «pancia» Genesis nasconde un’intera cantina. «Può contenere fino a 200 chili di uva e produrre 100 litri di vino, pronto poi per essere affinato» dice Dora Marchi, biologa ed enologa di Enosis, un’oasi di 2500 metri quadrati, con cascina del 1600 incastonata tra le vigne di 37 varietà autoctone italiane, che è una «Meraviglia»: si chiama proprio così, in ricordo dell’antico nome di questo bricco – Maraviglia – sulle colline di Fubine, nel cuore del Monferrato. Enosis è un laboratorio, ma anche un’università e una clinica, con una equipe di 18 dottori del vino, tra biologi, enologi, cantinieri, agronomi, chimici, tecnici dell’alimentazione e della sicurezza alimentare. E Genesis, questa «tinozza» computerizzata a tre gambe, con il cappello e il corpo a forma conica per migliorare il contatto tra l’uva spremuta e la parte già liquida, è la sua creatura di punta, è una cantina formato bignami, indispensabile per lo studio del processo di vinificazione ottimale a seconda delle varietà di uve. Dall’oblò centrale del robot i «dottori» seguono la macerazione, i rimontaggi, il délestage, e dalla console si gestisce la temperatura e l’ossigeno. È come fare una «risonanza magnetica» a quel processo naturale che è la vinificazione, roba che soltanto 70 anni fa cominciava con la pigiatura con i piedi. Enosis ne ha partoriti 12, di Genesis. Ma non li vende, non sono gli affari l’obiettivo di Lanati, che qui chiamano “l’uomo che sussurra ai vigneti”, ma piuttosto la qualità e la ricerca. È il luminare di questa «clinica» dell’uva (chiusa al pubblico, ma aperta ai laureandi dell’università di Enologia) dove il paziente per eccellenza è l’acino: «Lo studiamo da oltre 40 anni». Dora Marchi, il suo braccio destro, sa come muoversi nel labirinto di sale studio, laboratori e aule piene di monitor, frighi e microscopi. C’è una macchina che pesa, conta, pressa gli acini e poi ne misura il succo, qui ci lavora una squadra di «Csi dell’uva», che arriva a ricavare il Dna dell’acino: «È importante perché è la sintesi di un territorio, al suo interno c’è la storia di un’intera annata, il clima, il profumo, la salute della terra», dice Marchi, approdata dalla Toscana 20 anni fa per affiancare Lanati nella ricerca. La seguiamo nel laboratorio «psichedelico» – l’hanno chiamato proprio così – dove lampade colorate e temperature variabili «cullano» il mosto: ricorda una nursery con le incubatrici, e i monitor seguono 24 ore su 24 la biochimica cellulare di lieviti e batteri. Poi i vini finalmente si riposano, lontani da luce e calore, dentro gli «infernot», tipici corridoi scavati nel tufo che in Monferrato si utilizzano ancora e che Enosis ha voluto conservare: «È il nostro messaggio d’amore per il territorio».Alla fine, il brindisi. Ovviamente con bicchieri speciali: Lanati ne ha inventati due, quello con «l’anello di Saturno» per ottimizzare la percezione dei profumi, e l’ultimo, l’anno scorso, con il calice cavo per la salita, naturale e scenica delle bollicine. Prosit.” (Miriam Massone, La Stampa, del 29 febbraio 2016)